Diritto di prelazione del vecchio inquilino

Il proprietario - Giornale online di Federcasa

Un contratto di locazione per uso non abitativo cessa definitivamente alla scadenza dei 12 anni ma le legge prevede che il vecchio inquilino abbia comunque diritto di prelazione rispetto ad un eventuale nuovo inquilino. Ecco quando il diritto di prelazione vale e quando no.

L’articolo 40 della legge 392/1978 stabilisce a favore dell’inquilino il diritto per legge a essere preferito a chiunque altro qualora offra le stesse condizioni proposte da chi vorrebbe subentrargli. Così può stipulare un nuovo contratto.
La prelazione scatta se l’inquilino ha contatti con il pubblico ovvero se si tratta di negozio e attività simili. Sono esclusi dalla prelazione i contratti relativi a:
– immobili utilizzati  per attività che non comportano contatti diretti con il pubblico;
– immobili destinati ad attività professionali o di carattere transitorio;
– immobili complementari o interni a stazioni ferroviarie, porti, aeroporti, aree di servizio stradali o autostradali, alberghi e villaggi turistici;
– immobili che ospitano attività assistenziali, ricreative, scolastiche, culturali, partitiche, sindacali e quelle svolte dallo stato o dagli enti pubblici territoriali (Regioni, Province o Comuni)
L’inquilino è quindi tutelato nella sua attività commerciale: il rinnovo del contratto a nuove condizioni gli consente di continuare a mantenere la clientela.
Il padrone di casa non è obbligato a rinnovare il contratto né  a rilocare l’immobile. La prelazione è subordinata alla volontà di affittare nuovamente i locali anche se non allo stesso inquilino.
Il diritto alla prelazione non scatta solo se il proprietario non intende più affittare perché vuole utilizzare direttamente l’immobile.
La legge prevede che almeno 60 giorni prima della scadenza del contratto il proprietario comunichi all’inquilino, tramite raccomandata con avviso di ricevimento, le offerte ricevute.
La raccomandata sembra essere richiesta solo se deve essere provata, quindi va bene anche una diversa forma di comunicazione purché possa esserne accertata la data di invio.
Sorgono però dei dubbi:
– se la comunicazione di prelazione debba essere inviata anche quando il proprietario non abbia in realtà ricevuto da terzi nessuna offerta;
– se la comunicazione possa essere inviata anche dopo la scadenza del termine di 60 giorni stabilito dalla legge.
Per il primo punto si può rispondere in modo affermativo. A differenza della precedente legislazione, l’art. 40 delle legge 392/1978 non si riferisce espressamente alle offerte  ricevute dal padrone di casa. E l’articolo 69, regolando un’ipotesi analoga, obbliga il proprietario a comunicare le proprie richieste all’inquilino.
Risulta quindi che l’obbligo di far esercitare la prelazione sussiste anche in assenza di offerte di terzi.
Anche per il secondo punto la risposta è si: il fatto che il proprietario decida di riaffittare o riceva offerte anche dopo il termine dei 60 giorni non lo esenta dall’obbligo di offrire la casa in prelazione all’inquilino. La comunicazione tardiva potrebbe essere motivo di una richiesta di risarcimento danni a carico del proprietario.
L’inquilino ha 30 giorni di tempo, a partire dal ricevimento della comunicazione del proprietario per offrire uguali condizioni. Il suo silenzio equivale al rifiuto delle proposte del proprietario.
 Riassumendo il diritto di prelazione viene violato quando:
– il proprietario e un terzo stipulano un nuovo contratto prima che sia decorso il termine dei 30 giorni;
– viene omessa la comunicazione;
– viene concluso un contratto a condizioni inferiori con un terzo, dopo il rifiuto dell’inquilino originario a pagare un canone più elevato.
Quest’ultima ipotesi è la più frequente: il proprietario richiede un canone particolarmente elevato, l’inquilino non accetta e il proprietario riduce le sue richieste senza però comunicarle nuovamente all’inquilino. In tutti questi casi il proprietario può essere chiamato a risarcire i danni subiti dall’inquilino.
 In alcuni casi particolari l’inquilino può ottenere una sentenza che sostituisca il contratto di locazione. Questo è però possibile solo se l’inquilino è rimasto fisicamente nei locali ed è venuto a conoscenza della conclusione di un contratto in violazione del suo diritto di prelazione.
Se l’inquilino non fosse nell’immobile non potrebbe avvalersi di questo rimedio perché l’art. 1380 del Codice Civile stabilisce che il conflitto tra due inquilini i quali vantano entrambi diritti sullo stesso bene deve essere risolto a favore di chi lo utilizza per primo. Salvo questo caso particolare l’inquilino che se ne va perde il contratto (salvo il diritto di chiedere i danni al proprietario)
Non c’è quindi il diritto di riscatto al contrario di quanto avviene nella vendita.
I) danni possono essere individuati nelle spese sostenute dall’inquilino per trasferire l’attività e nella differenza tra il canone che è obbligato a pagare per i nuovi locali affittati e quello – se inferiore – al quale è stato locato l’immobile che ha dovuto lasciare.
Il risarcimento di quest’ultima voce di danno dovrebbe però tener conto degli eventuali vantaggi conseguiti dall’inquilino in seguito al trasferimento, per esempio, in un immobile più adatto allo sviluppo della sua attività. In ogni caso se il contratto è stato regolarmente disdettato, l’eventuale violazione della prelazione non implica proroga.
L’ultima parte dell’art. 40 prevede due ipotesi particolari in cui il diritto di prelazione opera anche dopo la scadenza del contratto. Quando il nuovo contratto tra proprietario e terzo viene sciolto entro un anno e quando il proprietario ha ottenuto il rilascio dell’immobile esprimendo la volontà di non rilocarlo e invece lo riaffitta entro 6 mesi dal rilascio. In entrambe le ipotesi il proprietario dovrà nuovamente comunicare all’inquilino le offerte e attendere 30 giorni.
Ma se il proprietario omette la comunicazione, ottiene i locali e riaffitta per non più di 6 mesi, il diritto di prelazione dell’inquilino decade.
Vi sono ipotesi in cui, pur rientrando l’attività dell’inquilino tra quelle tutelate dalla legge, il diritto di prelazione non scatta.
La prima ipotesi è quella della mancanza di volontà del proprietario di procedere al rinnovo del contratto.  La seconda è quella della scadenza dei primi 6 anni di contratto.
La prelazione riguarda la stipula di un nuovo contratto a nuove condizioni, ma cessati i primi sei anni, la legge 392/1978 all’art. 28 impone un rinnovo per altri 6 anni  senza mutamento di condizioni contrattuali.
Pertanto scaduti i primi 6 anni il proprietario non ha la possibilità di affittare ad altri e non avrebbe senso prevedere un diritto di preferenza a favore dell’inquilino. Sei poi il proprietario inviasse disdetta per la fine dei primi 6 anni facendo valere uno dei motivi previsti dalla legge (uso di retto dell’immobile per la propria abitazione o per la propria attività o per ristrutturazione e altri lavori edili, verrebbe a mancare il presupposto della volontà di locare nuovamente l’immobile.
La terza ipotesi si verifica quando l’inquilino non intende proseguire nel rapporto. Vi rientrano tanto il caso della disdetta inviata dall’inquilino, quanto il caso del recesso anticipato, prima della scadenza del contratto.
La quarta ipotesi riguarda il caso dell’inquilino inadempiente. Il caso più frequente è quello della morosità, ma si può indicare anche quello delle modifiche apportate all’immobile senza autorizzazione. A questo proposito, in genere è espressa nei contratti una clausola che ne impone la risoluzione. L’ultima ipotesi riguarda il venir meno del bene da tutelare, cioè l’avviamento commerciale ad esempio quando l’inquilino è sottoposto a fallimento.

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